That’s Formazione
Quando parlo di feedback c’è una scena che racconto spesso e che ritengo emblematica per veicolare il senso di questo strumento strategico per lo sviluppo delle persone e delle aziende. Si tratta di una scena domestica quotidiana che si svolge poco prima di uscire di casa, quando saluto mia moglie per andare da un cliente. In quella circostanza, capita che mia moglie mi fermi e mi chieda da quale cliente io debba andare. Dopo la risposta, può capitare che mi dica cose del tipo: “Può essere che per andare a parlare con questa persona sia meglio indossare un’altra giacca?”.
Domande come questa, nel corso degli anni, mi hanno portato a modificare il mio modo di vestire.
A parte i risvolti personali, la domanda di mia moglie contiene l’essenza del feedback. Vediamo di esaminarne assieme gli elementi fondanti:
- Presupposto
- Domandare
- Proporre alternative (eventuali soluzioni)
- Fiducia
- Conoscenza dell’interlocutore
- Cultura del feedback
- Ricevere feedback
Nell’esempio domestico che ho citato, il presupposto è il punto di partenza. La frase viene pronunciata perché l’emittente, mia moglie, mi vuole bene e desidera evitare di espormi a una brutta figura. L’elemento centrale del feedback, non a caso lo stiamo definendo presupposto, è aiutare, tutelare, migliorare, in altre parole consentire alla persona di crescere, di evolvere. Uno degli aspetti che mi colpisce nelle aziende è che spesso ci si dimentica che il feedback ha come obiettivo principale quello di stimolare il miglioramento dell’interlocutore e invece si riduce a (o è concepito come) un semplice giudizio che rischia di diventare fine a se stesso e soprattutto di generare chiusura e antagonismo. Per esempio, quante volte si parla con un collega o un collaboratore e gli si fa notare che ha commesso un errore, quando magari potrebbe essere utile cercare di capire il perché (quest’ultimo aspetto dovrebbe essere l’obiettivo principale).
La frase di mia moglie è una domanda. Lo stesso concetto, se fosse stato espresso con un’affermazione avrebbe assunto una connotazione completamente differente. Per esempio: “Per andare a parlare con questa persona indossa un’altra giacca”. La capacità di fornire un feedback efficace (di migliorare il nostro interlocutore) passa anche dalla capacità di farlo ragionare, piuttosto che dall’imporre il proprio punto di vista. Un feedback di miglioramento fornito attraverso una domanda riscuote sicuramente maggior successo di un’affermazione. Supponiamo di dover parlare di un calo di produttività di un reparto. Certamente, possiamo fornire un feedback con una frase del tipo: “La produttività è calata perché il team non ha rispettato le scadenze concordate”. In questo modo, probabilmente, trasferiremmo un senso di accusa, generando una reazione difensiva come, ad esempio, il silenzio. Al contrario, saremmo ascoltati più facilmente e, di conseguenza, stimoleremmo il miglioramento, se formulassimo una domanda del tipo: “Ho notato che i dati sulla produttività mostrano un calo nell’ultimo mese. Secondo il tuo punto di vista, quali fattori potrebbero aver influenzato questa situazione?”.
Nell’esempio iniziale viene avanzata la proposta di “indossare un’altra giacca”. Un feedback, tanto più se è migliorativo, contiene un’ipotesi di alternativa, una soluzione per comprendere meglio ciò che è stato fatto e ciò che potrebbe essere. Nel momento in cui sono chiari e condivisi i presupposti del feedback, ossia “ti voglio aiutare”, “voglio consentirti di migliorare”, diminuiscono le resistenze, le chiusure della persona. Tutto questo a patto che ci sia la fiducia.
La fiducia nell’interlocutore è l’altro elemento presente nella frase. È chiaro che il feedback è più facile da ascoltare e ancora più da accettare se nutriamo stima nei confronti dell’interlocutore. Se ci fidiamo della persona che ci fornisce un feedback sarà più facile credere e prendere in considerazione quanto ci viene detto. Un contributo finalizzato al miglioramento, anche se fornito con le migliori intenzioni, mette comunque in discussione la persona e l’immagine che ha di sé. Come ci sentiremmo se un nostro collega ci fornisse un feedback del tipo: “So che hai le capacità per ottenere risultati migliori, ed è proprio per questo che voglio capire insieme a te come possiamo superare questa difficoltà e valorizzare al massimo il tuo talento. Secondo te, da domani, sarebbe possibile fare il punto sul progetto una volta al giorno?”.
Un ulteriore elemento implicito contenuto nella frase di mia moglie è la conoscenza dell’interlocutore. È chiaro che quanto più conosciamo la persona destinataria del feedback, tanto più sappiamo come fornirlo e quando fornirlo. Ovviamente, la conoscenza è reciproca, significa che anche il destinatario conosce la persona che ha di fronte e, pertanto, nutre una serie di aspettative nei suoi confronti e sulla sua abilità di “comprendere le situazioni” per fornire il feedback.
Questo ultimo punto introduce un ulteriore elemento, ossia la cultura del feedback. Quando si parla di modello culturale si fa riferimento a una serie di valori, aspettative reciproche su comportamenti, atteggiamenti, modi porsi che influenzano gli individui e il loro modo di affrontare il mondo. Questo significa che, se, all’interno di un gruppo, esiste la cultura del feedback, una persona sa che può fornirlo a chiunque e chiunque sa che può ricevere un feedback da una persona e viceversa. Questa aspettativa reciproca rende l’ambiente fertile per gli scambi e per il confronto continuo.
Nella disamina che stiamo effettuando va integrata anche la capacità di ricevere feedback. Infatti, se è vero che il mittente è molto bravo nel dire le “cose” nel modo e nel momento giusto, è altrettanto vero che il successo del feedback risiede anche nella capacità che le persone hanno di accettare quanto viene detto loro.
Quando si parla di ricevere il feedback, si rischiano di commettere tanti “errori dietro l’angolo”, ma comunque, alla base di tutti c’è la difesa, ossia, il destinatario, per proteggere se stesso e la propria identità, mette in atto una serie di strategie disfunzionali che rischiano di innescare un meccanismo conflittuale. Badiamo bene che nel nostro ragionamento, stiamo dicendo che quanto maggiore è la fiducia che riponiamo nell’altro, tanto più so che ci tiene a me, tanto meno sentirò il bisogno di difendermi.
Chiaramente, il tema del feedback richiederebbe di approfondire tanti aspetti che, in questa sede, sono stati solo sfiorati come, ad esempio, la differenza fra feedback positivo e negativo, formale e informale, orizzontale e verticale, e ancora, gli aspetti tecnici del feedback, la gestione di casi specifici, ecc…
Ad ogni modo, alla base di tutto c’è sempre e comunque la capacità di instaurare relazioni eccellenti e di porsi nei confronti dei propri interlocutori come degli alleati, ossia come persone delle quali ci si può fidare, ovviamente non solo a parole, ma anche con comportamenti concreti.
Mi piace l’idea di lasciarci con un compito di auto-feedback: la prossima volta che stiamo per fornire un feedback a qualcuno, domandiamoci se quanto stiamo per dire o fare nasce dal desiderio di aiutarlo, miglioralo, oppure è una nostra esigenza di esercitare potere, oppure di sfogarci come ad esempio: “Non capisco perché tu continui a sbagliare cose così semplici. È frustrante vedere sempre gli stessi errori, soprattutto quando ti ho già spiegato più volte come fare”.
Se vogliamo che le persone vadano avanti dobbiamo avere la capacità di stare indietro.